I calanchi sono un fenomeno geomorfologico di erosione del terreno che si produce per l’effetto di dilavamento delle acque su terreni prevalentemente argillosi, con scarsa copertura vegetale e quindi poco protetti dai fenomeni di ruscellamento in occasione di eventi meteorici.
L’azione di degradazione da parte delle acque e degli altri agenti atmosferici è agevolata dalla litologia del terreno; estremamente erodibile, ma che nello stesso tempo può mantenersi anche con pendenza molto elevata. Tali sono le argille plioceniche dell’Appennino. I solchi che si formano all’interno del terreno si accentuano rapidamente, e allungandosi e procedendo a ritroso, si approfondiscono, si moltiplicano e si ramificano. Tale processo, che si estende ad interi versanti caratterizzati da litologie erodibili, sono suddivisi da numerose vallecole separate a loro volta da strette creste con micro versanti nudi in rapida evoluzione. Le cause di innesco del processo che porta alla formazione dei calanchi sono molteplici e spesso concomitanti. Gli elementi costitutivi che ne determinano la loro formazione sono: la presenza di un substrato argilloso con discreta componente sabbiosa con giacitura degli strati a reggipoggio e/o franapoggio, un regime climatico caratterizzato da estati secche e piogge intense concentrate in determinati periodi dell’anno, esposizione verso i quadranti meridionali dei versanti, acclività del pendio compresa tra i 40-60° che favorisce il rapido deflusso dell’acqua.
L’argilla è un terreno formato da particelle microscopiche di forma lamellare, che hanno una notevole coesione tra loro. Quando l’argilla è asciutta, il terreno diventa secco e si formano crepe e fessure in superficie mentre quando è bagnata diventa plastica e può essere facilmente modellata con le dita. I minerali che al compongono contengono poche sostanze nutritive facilmente utilizzabili dalle piante, che quindi attecchiscono faticosamente.
Su un terreno argilloso secco e fessurato, l’impatto delle gocce d’acqua di un temporale provoca la disgregazione di piccole particelle di terra; se la pendenza è abbastanza elevata l’acqua scorre velocemente in superficie e nelle fessure, asportando ulteriori particelle e creando una serie di rigagnoli (ruscellamento). Se le condizioni sono favorevoli, la velocità di erosione è superiore a quella di pedogenesi (condizioni che conducono alla formazione di suolo adatto ad ospitare vegetazione). Il terreno si spoglia rapidamente del suolo, i rigagnoli s’ingrandiscono e si approfondiscono (erosione per fossi), aumentando di numero fino a disegnare un fitto reticolo idrografico in miniatura, con vallecole dai fianchi ripidissimi in cui l’erosione di fondo è più veloce di quella laterale (calanco). A volte, sui micro versanti del calanco si formano dei gradini che sono il risultato di continue frane che gradualmente fanno crollare notevoli parti del calanco stesso. Quasi tutti i calanchi sono rivolti verso sud perché, essendo così più esposti al sole sono più soggetti alle variazioni stagionali e giornaliere dell’umidificazione ed essiccamento con conseguente formazione di crepe più o meno profonde dove l’acqua penetra più facilmente.
Il periodo di formazione dei calanchi in Italia si è avuto a seguito della complessa interazione tra i meccanismi di biofeedback ed i processi di erosione che con ogni probabilità consentono di collocare il periodo di origine durante l’Olocene. Dopo le fasi climatiche e tettoniche quaternarie e le conseguenti oscillazioni glacio-eustatiche che hanno portato al sollevamento di vaste aree caratterizzate da litologie erodibili con formazione di gradienti topografici sempre maggiori, i processi di erosione indotti dagli agenti atmosferici hanno cominciato ad agire dando luogo alla formazione delle prime forme di erosione concentrata. In seguito all’evoluzione delle forme vallive i processi di erosione guidati nella loro impostazione anche dagli elementi strutturali hanno continuato a scolpire sempre di più il rilievo dando origine ad ampi approfondimenti del reticolo idrografico con la formazione di gradienti topografici sempre maggiori ed esposizioni dei versanti a varia orientazione. Il disboscamento delle foreste di querce sempreverdi, avvenuto per opera umana, ha determinato l’esposizione di suoli argillosi, altamente erodibili e soggetti all’azione delle variazioni del clima. Fenomeni di dissesto idrogeologico, come il dilavamento e il ruscellamento delle acque meteoriche, insieme a frane e creep, divennero i fattori determinanti nel modellamento del terreno, la cui risultante fu la genesi dei calanchi.
Le morfologie calanchive sono molto diffuse in Italia, tra le più spettacolari è necessario citare quelle della Sicilia, in Basilicata, nell’Appennino emiliano (Val Marecchia), nel Lazio (Civita di Bagnoregio), in Toscana (Volterra); in Abruzzo (Atri), nel subappennino marchigiano e abruzzese, quali le coste e le scrime (o scrimoni) rispettivamente nella valle del Tronto e nella zona pliocenica tra il Vomano e il Salino. Alcuni vogliono trovare analogie coi bad lands del Dakota meridionale e del Nebraska, fenomeno molto frequente delle regioni aride e semiaride, mentre i calanchi italiani si riscontrano tanto nelle regioni semiaride del mezzogiorno, quanto nelle piovose dell’Appennino Settentrionale.
I calanchi, da un punto di vista agricolo, sono terreni improduttivi quasi del tutto privi di vegetazione; si cerca di combatterne l’espansione con rimboschimenti, per creare una copertura vegetale che protegga il suolo contrastando l’azione erosiva dell’acqua piovana o attraverso interventi all’interno delle vallecole con briglie e soglie di fondo per interrompere l’energia prodotta dal ruscellamento. In Emilia Romagna e a san Marino i migliori interventi di recupero di queste aree sono stati effettuati attraverso la riprofilatura dei versanti.
Recentemente, studiando proprio l’area calanchiva presente alle pendici del Monte dell’Ascensione, è stato messo in evidenza come le caratteristiche meso e micro- strutturali del substrato roccioso, sia uno dei fattori condizionanti la morfogenesi calanchiva. L’analisi mineralogica effettuata su campioni provenienti anche da aree limitrofe, caratterizzate da morfologie e spessori di materiali di copertura diversi ma da stesse condizioni di giacitura e di esposizione, ha evidenziato una composizione mineralogica simile ma con un contenuto totalmente diverso in calcite. Inoltre in corrispondenza dei due sistemi principali di fratture, riconosciuti nel substrato roccioso di tutta l’area esterna delle Marche meridionali, con direzione all’incirca appenninica, antiappenninica e subordinatamente N-S, legati a sollevamenti differenziali, decrescenti dall’interno verso l’esterno della catena, è frequente la presenza di fessure e fratture beanti completamente o parzialmente cementate da calcite. Si sono sviluppate così morfologie calanchive particolarmente accentuate, caratterizzate da bacini suddivisi in una serie di vallecole disposte a spina di pesce, fortemente incise e dalla caratteristica forma a V, in cui gli interfluvi sono dati, molto spesso, da veri e propri setti verticali. La rispondenza esistente tra creste principali e sistema di fratturazione, particolarmente evidente in quest’area, è pertanto da mettere in relazione alla maggiore resistenza all’erosione da parte delle argille poste all’intorno della frattura stessa, in conseguenza della parziale cementazione prodotta dalla abbondante precipitazione di carbonato di calcio proveniente dalla dissoluzione del potente ed esteso deposito ciottoloso-sabbioso (glacis di accumulo) che circonda il Monte dell’Ascensione. Evidenze simili sono state riscontrate La validità dell’affermazione trova conferma nella ricorrenza di morfologie calanchive, dell’area abruzzese tra il F.Pescara ed il F.Sangro, altrettanto accentuate e congruenti con il sistema di fratturazione del substrato, caratterizzate dalla presenza dei depositi del ciclo di chiusura plio-pleistocenico.
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